Nicola Orazzini: le dieci tendenze del futuro nello studio del Professor De Masi

Quali tendenze caratterizzeranno il futuro del nostro pianeta? Nicola Orazzini evidenzia l’analisi del sociologo Domenico De Masi, Professore Emerito di Sociologia del lavoro all’Università La Sapienza di Roma, che ne ha individuate dieci. La prima è la longevità: saranno 8 miliardi le persone a popolare il globo nel 2030, con aspettative di vita più alte. Si potrà infatti vivere fino a 750mila ore, 50mila in più rispetto alle attuali 700mila. Un ruolo ancora più determinante avranno le tecnologie (seconda tendenza): sarà infatti il secolo dell’ingegneria genetica che permetterà di vincere molte malattie, dell’intelligenza artificiale, delle nanotecnologie e dell’informatica affettiva, grazie alla quale i robot saranno dotati di empatia. Terzo trend riguarda l’economia: Nicola Orazzini sottolinea che nel 2030 il Pil pro-capite nel mondo sarà cresciuto del 159% rispetto a oggi. E se l’Occidente ridurrà del 15% il proprio potere di acquisto, il Pil della Cina supererà quello degli Stati Uniti: il Paese asiatico avrà le maggiori banche del mondo e quindici megalopoli con più di 25milioni di abitanti. Per quanto riguarda il lavoro invece, progresso tecnologico e produttività cresceranno a velocità esponenziale. Ma l’effetto congiunto di nanotecnologie e robotica porterà alla perdita del 60% degli attuali posti di lavoro: aumenteranno dunque i Neet (Not Engaged in Education, Employment or Training) con una conseguente riduzione dei consumi e un aumento del numero di conflitti sociali. Quinta tendenza segnalata da Nicola Orazzini è il tempo libero: in crescita le ore da dedicare a sport e altri hobby personali. Nel 2030 infatti ogni ventenne avrà davanti a sé circa 580mila ore di vita: il lavoro ne occuperà non più di 60mila, mentre 200mila saranno riservate alla cura del corpo (sonno, care) e 120mila alla formazione. Tenderà a scomparire il concetto di privacy (sesto trend): sarà quasi impossibile dimenticare, perdersi, annoiarsi, isolarsi. Settima tendenza è legata all’etica: come spiega Nicola Orazzini riprendendo lo studio sociologico, nel 2030 il mondo sarà più ricco ma resterà ineguale. L’aumento e la visibilità delle disuguaglianze e dell’esclusione sociale alimenteranno movimenti e conflitti. La competizione si giocherà quindi sul campo dell’affidabilità e dell’onestà delle persone, della qualità e dell’estetica dei loro prodotti e delle loro prestazioni. Un concetto che introduce all’ottavo trend: l’equilibrio. Difficile raggiungerlo anche in futuro, perché produrre ricchezza non significherà ancora saperla distribuire in maniera equa tra i Paesi del mondo. Per quanto riguarda la cultura invece (nono punto), la produzione e la trasmissione del sapere avverrà secondo il criterio del “molti per molti”, grazie ai social network e al web. Nicola Orazzini cita infine come decimo trend il dato secondo cui nel 2030 le donne vivranno tre anni più degli uomini e il 60% degli studenti universitari, il 60% dei laureati e il 60% dei possessori di Master saranno di sesso femminile. Dieci aspetti su cui riflettere in vista dei prossimi anni.

Le riflessioni di Nicola Orazzini su “Immaginare il futuro”

Curato da Carlo Bordoni, “Immaginare il futuro. La società di domani vista dagli intellettuali di oggi” è un saggio contraddittorio: avvincente in alcuni punti, meno interessante in altri, ha il pregio di spingere alla riflessione, già a partire dall’incipit. L’argomentazione si apre, infatti, con la citazione “L’utopia del futuro costruisce il presente” che contiene in sé una grande verità. Non è possibile prevedere il futuro perché le scelte quotidiane vanno a modificare l’agire umano. Il futuro prossimo è inesorabilmente condizionato dal presente e, proprio per questo motivo, non può essere preconizzato. Quello remoto, invece, ha un margine più ampio e può essere presagito a grandi linee, poiché connesso più al passato, di cui conosciamo tutto, che al presente. Nella predizione del futuro tendono a prevalere le visioni apocalittiche, distopiche e catastrofiche poiché l’animo umano è portato a privilegiare nostalgicamente il passato. Manca, tuttavia, l’immaginazione di un futuro più lontano dell’immediato (“l’immaginazione conta più della conoscenza”, come sosteneva Einstein). Per Arijun Appadurai è proprio l’immaginazione, insieme alla passione e all’aspirazione, l’elemento essenziale per potere costruire il futuro. Come accennato in precedenza, l’immaginario ha sempre posto al centro una visione catastrofica del futuro: dagli echi delle apocalissi medievali di matrice religiosa alle previsioni attuali sull’esaurimento delle risorse e sul degrado ambientale (Latouche ne è il principale profeta). Questo cambio di paradigma dimostra però quanto fosse strumentale allora la minaccia della fine del mondo e quanto sia invece concreta, fondata e quantificabile oggi la previsione ecologica. Non si tratta di un’unica ma di svariate apocalissi: da quella proveniente dal telescopio di Hubble, che dimostra come la nostra Galassia si scontrerà inevitabilmente con la Galassia di Andromeda (evento che avverrà tra 4,5 miliardi di anni), alle radiazioni emesse dal Sole, invecchiato e ridotto a una “gigante rossa” (più prossima, tra 1 miliardo di anni). La paura del futuro ha contraddistinto da sempre la nostra Storia ma si è fatta più immanente a partire dalla metà dello scorso secolo, con l’esplosione della bomba atomica su Hiroshima e Nagasaki. L’uomo, infatti, è stato messo per la prima volta davanti alla possibilità di uno sterminio di massa del genere umano e la scienza si è trasformata da antidoto a strumento di morte. Il nostro futuro prossimo è una proiezione delle negatività del nostro presente: la mancanza di fiducia nel progresso ci ha infatti portato a non credere più nelle possibilità dell’uomo e, di conseguenza, ha spento la nostra capacità di sognare.